Una notte, mentre il vento parlava
con la voce dei morti, alzando fantasmi di foglie e nubi di neve, un uomo bussò
alla mia baita. Lo vidi nel vano nero della notte mentre il filo di luna
rendeva grigi i suoi occhi e il suo viso. Mi raccontò dei suoi giorni passati,
del suo tempo felice, della sua donna, Joy.
Mi parlò del suo paradiso perduto, dell’allegrezza che mancò troppo
presto nella loro casa di sposi e della tristezza che la donna riversò nelle
vene delle loro tre figlie. Mi raccontò di
quella immensa amarezza. Né risa né voci di bimbi né grida giocose per casa. Il
silenzio immoto riempiva ogni vano e ogni giorno. Perfino l’aria, diceva, era
pregna di un’insana mestizia, lui l’avvertiva: “era il presagio di un giorno
peggiore”.