Una notte, mentre il vento parlava
con la voce dei morti, alzando fantasmi di foglie e nubi di neve, un uomo bussò
alla mia baita. Lo vidi nel vano nero della notte mentre il filo di luna
rendeva grigi i suoi occhi e il suo viso. Mi raccontò dei suoi giorni passati,
del suo tempo felice, della sua donna, Joy.
Mi parlò del suo paradiso perduto, dell’allegrezza che mancò troppo
presto nella loro casa di sposi e della tristezza che la donna riversò nelle
vene delle loro tre figlie. Mi raccontò di
quella immensa amarezza. Né risa né voci di bimbi né grida giocose per casa. Il
silenzio immoto riempiva ogni vano e ogni giorno. Perfino l’aria, diceva, era
pregna di un’insana mestizia, lui l’avvertiva: “era il presagio di un giorno
peggiore”.
E quel giorno era giunto, mentre lui, mi disse, era fuori di casa, e
venne con la mano omicida a recidere insieme le quattro vite, cupe come nero
d’abisso. Da quella notte egli era in cerca dell’uomo. Sapeva che ancora la
mano uccideva, folle e assetata, lasciando scritte sopra muri di calce.
Della sua casa ancora parlò, riferì della
frase lasciata dalla mano violenta e che diceva di un paradiso perduto. Mi
chiese se avevo una stanza, se potevo ospitarlo, mentre a me parve scrutasse le
mie pareti bianche di calce.
Song
of Joy è un racconto narrato in prima persona da un uomo che, in una notte
da incubo, bussa alla porta di una baita (presumibilmente la stessa raffigurata
sulla copertina dell'album) per chiedere ospitalità. Il titolo della canzone
significa "Canzone di gioia", ma anche "Canzone di Joy" (il
termine inglese "joy" è traducibile con "gioia" ed è anche
un nome
proprio femminile): e Joy è il nome della moglie del narratore, che
racconta di essere in viaggio da anni in cerca dell'uomo che la uccise assieme
alle loro figlie. Tuttavia, man mano che costui racconta la propria storia, un
dubbio si insinua nell'ascoltatore: il tono, la parlata, le espressioni
facciali che istintivamente associamo al narratore pur non vedendolo, perfino
alcune delle sue parole tradiscono qualcosa. Qualcosa che fa pensare che l'uomo
stia raccontando la verità, ma dal punto di vista sbagliato. Così, alla fine,
la domanda innocente che egli pone al suo silenzioso interlocutore, ("Do
you, sir, have a room?/Are you beckoning me in?" "Avete una stanza
libera, signore? Mi lascerete entrare?") suona terribilmente inquietante:
chi abbiamo ascoltato finora? Un uomo distrutto o un omicida fuggiasco?